ANZIANI. SONO LORO IL PROBLEMA O SIAMO NOI?

Scriveva Lev Tolstoi “La vecchiaia è la più inattesa tra le cose che possano capitare ad un uomo”. Una diagnosi quanto mai attuale se è vero – ed è vero – che a fronte di un Paese in cui vi è un costante aumento della popolazione anziana, che nonostante abbiamo un Capo dello Stato della quarta età, che un Presidente del Consiglio ed un parlamento veleggino sul vento della terza età, pensiamo che i vecchi sono un pianeta abitato da altri.

Nonostante i dati demografici indichino che la popolazione ultra ottantenne è già oggi circa il 4,5% della intera popolazione (2.500.000 in Italia – 190.000 in Veneto), e che questa percentuale sia destinata a crescere, l’agenda politica sembra che non abbia né voglia né tempo per occuparsi di questo tema. Poco importa infatti, se un quarto di questa popolazione ultra ottantenne (600.000 in Italia – 45.000 in Veneto) è e sarà affetta da malattie croniche caratterizzate da poli-patologie, da affezioni cardiovascolari accompagnate sempre più da disturbi muscolo-scheletrici, respiratori, neurologici e metabolici, che aumenterà la non autosufficienza degli anziani per effetto delle malattie neuro-degenerative, che la malattia di Alzheimer accompagnata dalle varie forme di demenza, determinerà gravi problemi cognitivi e impatterà sempre più sulle famiglie in forma spesso devastante.

Di anziani – se riflettiamo per un istante – ne sentiamo parlare solo quando sono agli onori della cronaca nera, ovvero quando la stampa ed i media ci danno notizie su fatti delittuosi che li riguardano, vuoi perché massacrati in casa per pochi risparmi, vuoi perché trovati morti o in totale stato di abbandono, vuoi per le truffe ai loro danni, o perché si scoprono luoghi di ricovero in totale stato di degrado. Tutta colpa della politica quindi? Assolutamente no! La politica è solo lo specchio e la rappresentazione della società in cui viviamo. Una società che ha saputo produrre l’antidoto delle badanti quale ovvia soluzione al problema e, visto che le parole che omologhiamo nel linguaggio comune hanno un loro preciso significato e sono lo specchio del nostro pensare quotidiano, andiamo a leggere l’etimologia di questo termine “badare”: badare ad un vecchio come si bada ad un cane o ad un branco di pecore. Una società che a fronte della fragilità della famiglia – colonna portante in un tempo non molto lontano – sfugge alle proprie responsabilità e non si interroga sulle future conseguenze.

Una famiglia che sempre più spesso si sgretola sotto il peso della superficialità dei valori, di una conflittualità esasperata e di un consumismo esagerato, sulle cui macerie non potremo certo pensare di costruire le fondamenta che potranno sostenere, così come i bisogni dei nostri figli, i bisogni dei nostri anziani.

Quindi dovremmo rassegnarci a diventare vecchi subendo questo irreversibile degrado sociale e la quasi totale insensibilità di chi ha il compito di governare e gestire i cambiamenti della società? Assolutamente no! Abbiamo tutto il tempo e il dovere di invertire questa rotta e per fare questo, dobbiamo lavorare su più fronti.

Dovremo partire dalla educazione e formazione dei nostri figli portando a partire dalla scuola dell’infanzia e nell’ambiente didattico i valori che in passato ci venivano trasmessi in ambito domestico, i valori della solidarietà tra generazioni, del rispetto, della sussidiarietà, dell’amore e della sensibilità verso chi è diverso e verso chi è in condizione di bisogno. Valori che dobbiamo radicare nelle nuove generazioni avendo attenzione di insegnare ad amare ed aiutare chi ha contribuito in modo fondamentale a costruire la società in cui viviamo. Non posso e non possiamo accettare che oggi, nel mondo della scuola, non vi sia nemmeno un testo che parli della genitorialità, del valore del nonno, piuttosto che sui valori su cui si deve costruire una società forte e sana. Dovremo imporre che le risorse per assistere chi è oggi e sarà anziano in condizione di non autosufficienza non debbano essere trovate nelle pieghe dei bilanci regionali o nazionali. Le risorse per condizione di non autosufficienza dell’anziano devono essere veicolate attraverso il sistema della previdenza.

Dovremo lavorare per un forte rilancio del sistema delle cure domiciliari assicurandoci sempre e comunque che queste non siano finalizzate al populismo, ma siano un concreto aiuto alla famiglia che vuole e può sostenere il peso di un anziano non autosufficiente nel proprio domicilio.

Dovremo lavorare sul tema della educazione alla prevenzione alle malattie che portano alle cause invalidanti di un anziano e soprattutto, dovremmo lavorare perché i nostri anziani non siano e non si sentano soli, consapevoli che la solitudine è sicuramente la più grave malattia che oggi colpisce e colpirà sempre più i nostri anziani che sono oggi i nostri genitori, ma che domani saremo noi.

Infine, e non certo in termine di importanza, dovremo lavorare perché gli ospizi di un passato le case di riposo di un recente passato, diventino dei moderni Centri di Servizio residenziali e semiresidenziali in grado di fungere anche da strutture ad alte funzioni riabilitative, aperte al territorio, capaci di dare adeguate risposte e servizi qualitativi quando non saremo più in grado di rimanere al nostro domicilio. Centri di Servizio dove poter trovare un livello di protezione e cure sanitarie prestate da personale preparato dal punto di vista sanitario, ma soprattutto preparato sotto il profilo socio assistenziale ed umano. Centri di Servizio in grado di accompagnarci con professionalità – ed amore – negli ultimi anni, mesi e giorni di vita e dove poter trovare, nei giorni più duri e difficili della nostra esistenza, la nostra e la serenità dei nostri cari. Speriamo quindi che questa società travolta dalla frenesia del fare di questi ultimi anni si interroghi e si convinca, che non sono gli anziani il problema, ma forse che il problema siamo noi.