Nonostante un generale miglioramento delle condizioni di salute negli ultimi 25 anni, in Europa le malattie cardiovascolari, il diabete, il cancro e le malattie respiratorie croniche costituiscono tuttora la principale causa di morte. Ma il fenomeno non è solo appannaggio del vecchio continente: dati recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indicano che le malattie croniche sono responsabili di 35 milioni di morti all’anno e cioè del 60% delle morti nel mondo. Il dato forse più ecclatante è che l’80% di queste morti si verifica nei paesi più poveri dove sono colpite in particolare persone in attività lavorativa, cioè al di sotto dei 60 anni.
È per questo che nei giorni scorsi gli esperti dell’OMS hanno lanciato un ennesimo appello ai governi sia delle nazioni a basso-medio reddito ma anche a quelli delle economie sviluppate, perché affrontino al più questo problema di salute pubblica, ma sotto una prospettiva del tutto nuova: investire nella salute, nei servizi sanitari per creare sviluppo e non aspettare che le economie più o meno deboli si sviluppino per poi destinare una parte del prodotto interno lordo a questi servizi. In questo primo numero di “Veneto e Salute” vari articoli trattano della prevenzione primaria e secondaria della malattia coronarica, della sua terapia e delle misure di riabilitazione. La malattia coronarica rimane la principale causa di morte in Europa, compresa l’Europa dell’Est, ma paesi come l’Italia e la Francia “stanno meglio” rispetto a paesi del Nord-Europa come la Germania o l’Inghilterra, e questo è stato in parte attribuito alla nostra dieta mediterranea, ricca di antiossidanti e grassi polinsaturi. I fattori di rischio, peraltro prevenibili, sono ben noti: fumo, dieta inadeguata con eccesso di calorie, grassi saturi e sale, e bibite gasate e zuccherate, scarsa attività fisica, eccessivo consumo di alcol. Questi “stili di vita” si traducono in ipertensione arteriosa, diabete, dislipidemie, sovrappeso ed obesità che naturalmente favoriscono l’insorgere della malattia coronarica.
Come ridurre quindi il rischio di questa patologia così diffusa? La risposta più ovvia sarebbe quella di adottare comportamenti e stili di vita più sani. Ma proprio per centrare questo obiettivo, l’OMS propone di andare oltre i tradizionali fattori di rischio, spostando il “peso” di queste misure dall’individuo alla società, o meglio alla comunità. Il concetto base è che i comportamenti non corretti degli individui sono molto spesso influenzati dal’ambiente in cui essi vivono. Quindi, non è giusto “colpevolizzare” le persone in sovrappeso o obese se queste non possono usufruire di piste ciclabili per recarsi al lavoro o di spazi verdi dove poter passeggiare, fare attività fisica, ecc.
Uno studio recente effettuato in Gran Bretagna su più di 360.000 persone e pubblicato su “Lancet” mostra che la presenza di aree verdi accessibili riduce la mortalità cardiovascolare e contribuisce a ridurre le differenze tra lo stato di salute dei diversi strati sociali, aumentando in particolare le aspettative di vita delle classi meno abbienti. Esempio concreto di come la creazione di spazi verdi possa costituire uno strumento a disposizione degli amministratori che possono utilizzarlo, in collaborazione con chi si occupa di salute pubblica, per contribuire a migliorare la qualità della vita e a ridurre le disuguaglianze nella salute. Ciò significa anche che, accanto ai servizi sanitari e a tutte le attività bio-mediche che restano essenziali per la prevenzione e la cura-riabilitazione della malattia, è necessario coinvolgere altri settori (trasporti, abitazioni, ambiente, finanze) per la promozione della salute di una comunità. In fondo, secondo questo approccio innovativo, il principale fattore che determina lo stato di salute o di malattia sono le condizioni in cui una persona è nata, vive, cresce, lavora, ed invecchia. L’Ufficio Europeo per gli Investimenti per la Salute e lo Sviluppo dell’OMS di Venezia ha proprio lo scopo di analizzare in maniera critica tutti quegli interventi che tendano a ridurre i fattori di rischio delle malattie e a promuovere la salute e lo sviluppo di una popolazione, oltre a fornire un supporto tecnico e di know-how ai 53 stati membri della Regione Europea dell’OMS che vogliano includere i determinanti socioeconomici della salute nelle loro politiche sanitarie.