Quali sono le conseguenze che derivano alla scienza dal non trascurare l’amore? Ancor meglio: può la scienza far fronte alla modernità senza confrontarsi con le questioni poste dall’amore?
L’innovazione della pratica psicanalitica sta nell’aver dato voce a queste domande e nell’aver provato a rispondervi. In particolare sta nell’aver constatato che esiste un vincolo sorprendente, eppure stringente, tra amore e salute. Ne è derivata un’altra idea del corpo: quello che sta sul lettino dello psicanalista non è lo stesso che sta sul tavolo anatomico. Non è un corpo inerte, un organismo: è un corpo che parla. Se oggi, nella pratica medica, si riconosce dignità etica al problema del consenso informato del paziente alle cure, è perché si è cominciato da lì. E spetta, ancora, oggi, alla psicanalisi far notare che da lì già comincia anche la cura.
Si inaugurano così, insieme, un altro tempo della scienza e un’idea inedita dell’amore.
Questione attuale, anzi, urgente per come siamo incalzati e coinvolti dalla complessità di vivere. La vita non dà tregua: nonostante gli specialismi più esasperati e le tecnologie più sofisticate con cui si tenta di contenerla in una forma definita, ultima, universale, racchiusa magari in un codice che stabilisca la corrispondenza di ogni parte a tutto. La genetica fa scuola, sì: dicendoci innanzitutto che la scienza ha un qualche valore e una qualche funzione per la vita solo se si dispone alla sua complessità, se si piega alla qualità, al disagio e all’inesauribile variazione che dimorano in essa, insieme. Passando da una scienza priva di vita a una scienza della vita.
La psicanalisi è cominciata facendo di storie d’amore questioni scientifiche. In un processo di valorizzazione di portata doppia: c’è scienza nell’amore, non sull’amore o dell’amore, e questa scienza esordisce col dire, fino a prima inaudito, delle donne. Un dire che, parlando d’amore, marca una differenza. Impossibile vivere in salute senza sogni e senza sessualità. Le storie d’amore con cui inizia e continua la psicanalisi e che rendono degne di essere vissute le vite di uomini e donne, parlano di questo. Storie che, mentre cambiano la scienza, e il modo di curare, di prendersi cura, inaugurano un’altra nozione di amore.
Diciamo, per il momento,che si tratta di un amore non comune, cioè non subordinato all’ideale del Bene. Così, almeno cominciamo col piede giusto. Evitando la tentazione più diffusa: quella di farne un luogo comune spacciandolo per una panacea. L’amore come rimedio universale, perciò modello di ogni farmaco e conferma che lo psicofarmaco non è il più recente, ma il più antico di tutti.
L’amore, invece, non va senza storie. È singolare. Non ha nulla di consolatorio; ci consente, piuttosto, di confrontarci con la realtà e con le impasse del desiderio e del godimento.
L’amore, nella sua essenza, è domanda: oltre qualunque bisogno.
Questo, fin dal principio, c’insegnano i bambini quando s’interrogano sull’amore. Essi si chiedono:“Da dove vengono i bambini?”.
Questa domanda è una costante nella storia di ciascun bambino. E ci dice molte cose. Innanzitutto fa luce sulla relazione tra i genitori e i figli. Mostrandoci che essa non è un fatto naturale, scontato: piuttosto una realtà complessa ed elaborata. E avvertendoci che la famiglia è un luogo in cui si pongono domande tramite le quali si produce un sapere. Un sapere sulla vita e per la vita. Un sapere pratico, essenziale proprio perché imperniato sulla sessualità: una questione che attraversa e guida, in ogni età, l’esistenza di uomini e donne.
L’avvenire, in questa domanda, è già presente. Chiedere da dove si viene diventa importante, e possibile, solo se ci si sta già interrogando su dove si va, verso cosa ci si muove. E in modo per nulla generico: i “bambini” di questa domanda sono, ogni volta il bambino che la formula e che trova così il modo di dar seguito al desiderio primario che lo impegna e lo sospinge: diventare grande.
La sessualità, la differenza che essa comporta, la curiosità e l’intelligenza che ne derivano sono tutti elementi che qualificano l’amore; amore che anima la domanda spingendola a dirsi.
Nessuno e nessuna cosa ha la sua ragione in sé: i bambini lo sanno. Perciò interrogano e reinterrogano incessantemente i genitori impegnandosi nel gioco serio di suscitare nell’Altro la parola. L’infanzia non manca di niente: perché non manca di verificare , con le sue domande, l’esistenza di una mancanza. Ed è la questione che riguarda ciascuno: l’istanza indistruttibile del desiderio che attraversa e lega come un filo i tempi del vivere.
“Da dove vengono i bambini?”. All’inizio c’è sempre una storia.
Parlavamo della cura, dell’amore. La cura dei figli, per esempio, l’amore dei figli. I figli hanno bisogno di cure, hanno bisogno d’amore. Vanno nutriti, vanno coccolati: c’è l’idea del riempimento, la pedagogia della sazietà. Ci si occupa, più spesso ci si preoccupa, di quello che loro manca: quasi mai di quello che portano con sé.
Ed invece portano già molto, fin dall’inizio. Vengono, come si dice, al mondo già dentro una storia. La storia, le vicende del desiderio dei loro genitori entro cui hanno trovato il loro primo posto: prima ancora che nella culla, prima ancora che nella pancia della madre. Hanno trovato posto, o, in qualche caso, come si può rilevare da un’analisi, non hanno trovato posto: anche questa è una storia.
Nella radicalità della sua domanda il bambino non chiede ai genitori “Mi amate?”, ma “Vi amate?”; perché solo se questo amore esiste per loro, esiste anche per lui schiudendogli il campo del desiderio e l’eventualità che esso si compia.
Crescere un bambino è essenzialmente lasciare che si confronti con una storia, è metterla a sua disposizione. Tenere conto che è una sua esigenza primaria, quanto nutrirsi e sentire l’abbraccio caldo di chi si prende cura di lui. È là che occorre riandare: è questo l’appuntamento da non mancare. Straordinaria chance che la parola ci offre e che l’analisi può valorizzare fino in fondo perché, nella sua pratica, alla parola dà campo nel modo più esteso e libero.
La famiglia è un luogo
in cui si pongono domande
tramite le quali si produce
un sapere
Crescere un bambino
è essenzialmente lasciare
che si confronti con una storia,
è metterla a sua disposizione